Proponiamo una serie di contributi che vogliono illustrare i principali punti chiave della Dichiarazione Dignitas infinita del Dicastero per la Dottrina della fede, commentandone alcuni aspetti a partire dal dato testuale.
La Dichiarazione Dignitas infinita del Dicastero per la Dottrina della fede, del 2 aprile scorso, si pone come il punto di arrivo di una lunga riflessione sul tema della dignità umana. Il documento, aperto da una presentazione a firma del prefetto Card. Victor Manuel Fernandez, si compone di quattro capitoli, con un’introduzione e una conclusione, per un totale di da 66 paragrafi.
L’articolata storia del testo
Il documento ha avuto una genesi molto lunga durata 5 anni: le discussioni iniziarono nel marzo 2019 quando «decise di avviare “la redazione di un testo evidenziando l’imprescindibilità del concetto di dignità della persona umana all’interno dell’antropologia cristiana e illustrando la portata e le implicazioni benefiche a livello sociale, politico ed economico, tenendo conto degli ultimi sviluppi del tema nell’ambito accademico e delle sue ambivalenti comprensioni nel contesto odierno”».
Il primo testo proposto, ritenuto insoddisfacente, fu rivisto e ripresentato nel 2021; la Sessione Plenaria della Congregazione, nel gennaio 2022, rivide il documento abbreviandolo e semplificandolo. La nuova bozza, emendata nel corso del 2023, ha ricevuto ulteriori modifiche, su indicazione di Papa Francesco che ha «chiesto di evidenziare nel testo tematiche strettamente connesse al tema della dignità, come ad esempio il dramma della povertà, la situazione dei migranti, le violenze contro le donne, la tratta delle persone, la guerra ed altre». Dopo una globale revisione, il testo ha subìto cambiamenti importanti ed è stato approvato dalla Sessione Ordinaria del Dicastero alla fine del febbraio 2024 ed è stata poi approvata dal Papa il 25 marzo 2024.
I capisaldi dell’Introduzione
La lunga gestazione del testo fa comprendere l’importanza e la delicatezza del tema trattato: la dignità di ogni persona umana, una dignità definita «infinita, inalienabilmente fondata nel suo stesso essere» (DI 1). Tale dignità va riconosciuta e rispettata per ogni persona «al di là di ogni circostanza e in qualunque stato i situazione si trovi» (DI 1): ciò significa che non esiste nessun caso concreto e reale per il quale la dignità della persona possa cessare di esistere. La dignità dunque “accompagna” la persona, in quanto sua parte essenziale, in ogni istante della sua esistenza; si potrebbe affermare in modo conciso che finché c’è persona, c’è dignità.
La dignità dell’uomo per ragione e per fede
Tale affermazione, che fonda i diritti di ogni persona, non è esclusivamente un dato di rivelazione, in quanto «è pienamente riconoscibile anche dalla sola ragione» (DI 1). Ciò riveste una notevole importanza, in quanto la dignità della persona può trovare posto all’interno degli ordinamenti statali laici, a prescindere dalla confessione religiosa. La Rivelazione conferma il dato di ragione circa la dignità della persona, inquadrandola nella prospettiva della creazione (l’essere umano a immagine somiglianza divina) e della redenzione (l’essere umano salvato da Cristo). Pertanto il riferimento alla Rivelazione non è strettamente necessario per affermare il principio di una dignità al di là di ogni circostanza, in quanto la sola ragione può essere sufficiente a riconoscere che la dignità ha un radicamento nella natura della persona (dignità ontologica). La Dichiarazione non propone particolari argomenti razionali per il riconoscimento della dignità ontologica (compito del pensiero filosofico), però suggerisce una strada da percorrere: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, a cui la Chiesa guarda come «via maestra» per l’affermazione dei diritti di ogni uomo, che «proprio in ragione della sua inalienabile dignità» «deve essere riconosciuto e trattato con rispetto e con amore» (DI 2).
L’impegno della Chiesa nell’affermazione della dignità e dei derivanti diritti di ogni uomo accompagna da sempre la comunità cristiana. La Dichiarazione riprende in estrema sintesi i pronunciamenti degli ultimi papi (Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Papa Francesco), dedicando a ciascuno un paragrafo.
Una quadruplice distinzione della dignità (DI 7-8)
Va sottolineato il «chiarimento fondamentale» che la Dichiarazione propone sull’espressione “dignità della persona umana”, che «porta a riconoscere la possibilità di una quadruplice distinzione del concetto di dignità: dignità ontologica, dignità morale, dignità sociale ed infine dignità esistenziale» (DI 7). Per «dignità ontologica» si intende la dignità che «compete alla persona per il solo fatto di esistere e di essere voluta, creata e amata da Dio» ed è una dignità incancellabile e sempre valida. È interessante notare il doppio registro, filosofico e teologico, che definisce questa dignità ontologica: riconoscere la dignità per «il solo fatto di esistere» della persona non richiede un atto di fede religiosa, in quanto l’esistenza di una persona è riconoscibile anche dalla sola ragione e può essere intesa come un principio di argomentazione filosofica, mentre il fatto che la persona è «voluta, creata e amata da Dio» fonda la dignità su un piano teologico (nella convergenza dei piani creativo e redentivo), ovvero nella relazione costituiva di ogni essere umano con Dio. La «dignità morale» si riferisce invece «all’esercizio della libertà da parte della creatura umana» (DI 7) per la quale l’uomo può attuare scelte contro la dignità. Per questo la dignità morale può essere perduta a causa della libera decisione umana, mentre la dignità ontologica «non può mai essere annullata». Si può notare la terminologia con cui la Dichiarazione illustra la dignità morale: si parla di «creatura», «creatura amata da Dio», «legge dell’amore rivelata dal Vangelo» e non di «persona», «esistenza», «legge naturale»; il lessico mostra che la connotazione morale della dignità è da intendere in senso teologico, dato che la perdita della dignità morale è legata al rapporto della creatura con il Creatore. Se la dignità ontologica è comprensibile per ragione e per fede, la dignità morale è comprensibile solo sul piano della Rivelazione, in quanto la conoscenza del peccato è una realtà teologica. Passando alle restanti accezioni di dignità, la «dignità sociale» fa riferimento «alle condizioni sotto le quali una persona si trova a vivere» (DI 8), le quali possono non essere di qualità adeguata alla dignità ontologica (l’esempio riportato è quello della povertà estrema). La «dignità esistenziale» infine afferisce a situazioni esistenziali, che una certa mentalità ritiene meno degne di essere vissute: malattie gravi, contesti familiari violenti, dipendenze patologiche… Si tratta di situazioni che portano la persona a considerare la propria vita come indegna da vivere, non vedendo così quella dignità ontologica che non può mai venir meno.
Davide Ambu