Gioia e gratitudine: intervista a Davide Ambu

Gioia e gratitudine: intervista a Davide Ambu

Concludiamo il percorso che, attraverso tre interviste, ci ha fatto conoscere meglio i giovani che stasera alle 18,30 in Cattedrale saranno ordinati diaconi. Di seguito la testimonianza di Davide Ambu.

Chi sei? Puoi brevemente delineare il cammino che ti ha condotto in seminario?

Sono Davide Ambu, ho 30 anni (31 il prossimo 22/12) e vengo dalla parrocchia S. Efisio di Capoterra. Sono il primo dei tre figli maschi della mia famiglia e ho due sorelle maggiori.

Sono entrato in seminario a 23 anni, da giovane appena neo-laureato in ingegneria chimica. L’Università mi aveva prospettato una promettente carriera accademica e insisteva molto perché proseguissi con il dottorato di ricerca, ma ho scelto altro, e non me ne sono pentito.

Il passaggio dal mondo accademico al mondo del seminario non è stato netto, ma potremmo dire graduale: durante l’anno propedeutico mi sono potuto congedare definitivamente con ingegneria conseguendo l’abilitazione alla professione ma un ruolo chiave nel passaggio lo hanno avuto gli anni trascorsi nella Pastorale vocazionale diocesana, di cui conservo un ricordo molto bello.

Gli indizi della mia vocazione furono attentamente colti dalla mia comunità parrocchiale, specialmente dagli amici del coro: frequentavo regolarmente la parrocchia e mi impegnavo nelle varie realtà con spirito di servizio (catechesi, scout, ministranti). Con il passare degli anni le persone riconoscevano sempre più che l’abito del ministro ordinato sembrava essere quello più giusto per me, ma io non lo accettavo. Diciamo che la mia è una vocazione riconosciuta ben presto dalla comunità, ma accettata da me solo in un secondo tempo.

In che contesto si svolge il tuo cammino formativo?

Da poco più di 5 anni la mia formazione avviene a Roma, presso l’Almo Collegio Capranica, una realtà che vede vivere insieme circa 50 tra presbiteri, diaconi e seminaristi provenienti da diverse parti del mondo. Insieme agli studi presso la Pontificia Università Gregoriana la mia formazione può dirsi dall’ampio respiro internazionale: sono stato con compagni originari della Cina e del Timor Est, del Madagascar e della Nigeria, della Bolivia e dell’Ecuador.

La formazione è solitamente caratterizzata dalle esperienze più variegate e da tanti incontri. Quali ricordi con maggiore intensità?

In questi anni ho ricevuto tanta accoglienza dai parroci della nostra diocesi e ho potuto sostare in diverse parrocchie: San Luca a Quartu, Ussana, San Sebastiano a Cagliari, NS delle Grazie a Sestu e infine l’“impero” di Sant’Elena a Quartu. Ho visto diversi stili e accenti dei nostri preti, diversi tra loro ma tutti accomunati dall’essere pastori di un piccolo popolo; sono molto grato ad alcuni di loro, don Michele, don Sandro e don Alfredo: mi hanno fatto sentire figlio accolto e amato.

Tra le esperienze estive porto nel cuore le settimane trascorse all’Ospedale Cottolengo di Torino, un luogo dove ho fatto i conti con la finitezza dell’uomo e ho capito che la sofferenza anche se non si può eliminare, si può condividere e co-abitare: la sofferenza condivisa è sofferenza penetrata dalla luce dell’amore (cfr. Spe salvi, 38).

In cosa ti stai specializzando? Come tale preparazione arricchirà il tuo ministero a servizio della nostra chiesa?

Attualmente sto concludendo la licenza in teologia dogmatica e sto lavorando sull’ambito dell’escatologia: cosa accade «tra la morte del cristiano e la risurrezione finale». Credo che siano realtà poco presenti nella nostra predicazione e soprattutto sono convinto che alla domanda sulla morte nessuno possa sfuggire: se la nostra vita ha un senso, se chi abbiamo amato è terminato per sempre sono interrogativi che albergano nel cuore di ogni uomo.

Con quali sentimenti ti prepari a diventare immagine di Cristo servo?

I sentimenti e le emozioni sono tanti: gratitudine, gioia, emozione ma anche timore, apprensione. Se dovessi paragonarli a dei colori diciamo che avremmo l’intero arcobaleno.

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Un dono alla Chiesa: Tommaso è accolito

Un dono alla Chiesa: Tommaso è accolito

Un dono alla Chiesa: Tommaso è accolito 

La terza domenica di Avvento è giornata classica per l’Almo Collegio Capranica per il conferimento dei ministeri. L’invito alla gioia e il colore rosaceo hanno accompagnato anche quest’anno la celebrazione eucaristica serale durante la quale Tommaso Congiu è stato istituito accolito, insieme ad Alessandro, alunno della Diocesi di Ivrea.

La preparazione a questa tappa formativa ha evidenziato il fondamento battesimale dei ministeri istituti, da intendersi come un dono del Risorto alla Chiesa, più che come dono al singolo. È proprio questo che attesta San Paolo in Ef 4,11: “Ed è lui che ha donato [alla Chiesa] alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri” (traduzione letterale). Inoltre, il dono non consiste tanto nell’abilitazione ad un compito (come la distribuzione dell’Eucarestia) o nell’attribuzione di una qualifica, ma in una persona: il Risorto dona alla Chiesa un nuovo accolito (non dona l’accolitato alla persona). Tommaso dunque è come il “dono natalizio” che la Chiesa riceve in questo giorno di gioia.

La liturgia, vissuta dalla comunità del Collegio insieme alle famiglie degli istituiti accoliti e i parroci delle parrocchie di pastorale, è stata presieduta da S.E.R. Mons. Luis Marín de San Martín (Sottosegretario del Sinodo dei Vescovi e Vescovo titolare di Suliana).

L’omelia articolato il tema della gratitudine, richiamando che il cristiano è colui che dice grazie al Signore non solo con le labbra ma con la vita. Il messaggio centrale si è focalizzato sulla figura del Natale come manifestazione di Dio che si fa piccolo. Citando le parole di Papa Francesco, Mons. Luis ha sottolineato l’importanza dell’umiltà nel comprendere il Verbo incarnato, che per Sant’Agostino è la via primaria per raggiungere cristo. La riflessione poi ha approfondito il significato dei ministeri nella Chiesa, sottolineandone la dimensione battesimale e laicale volta all’umiltà e al servizio. Nell’esplorare il significato del ministero dell’accolitato, Mons. Luis ha accentuato la connessione tra servizio all’Eucarestia e adorazione: l’accolito è stato dipinto come colui che si nutre di ciò che contempla, grazie al legame profondo con l’amore di Cristo nel Santissimo Sacramento.

E così, Cagliari vive un lieto «momento di Chiesa» con il dono di un nuovo accolito; a Tommaso l’invito a fare dell’Eucarestia il faro per il suo cammino verso il ministero ordinato e l’incoraggiamento a vivere con gioia questo ministero di servizio.

Davide Ambu

(Foto da Almo Collegio Capranica)

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Ministero dell’accolitato di Tommaso Congiu

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Ministero dell’accolitato di Tommaso Congiu  

Domenica 17 dicembre 2023 alle ore 18:00, presso la Cappella dell’Almo Collegio Capranica a Roma, Tommaso Congiu sarà istituito accolito durante la celebrazione eucaristica presieduta da S.E.R. Mons. Luis Marín de San Martín, Sottosegretario del Sinodo dei Vescovi e Vescovo titolare di Suliana.

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Inizio dell’anno all’Almo Collegio Capranica

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Il nuovo anno all’Almo Collegio Capranica ha preso formalmente inizio il 23 settembre [2023] con la S. Messa presieduta dal rettore, Mons. Riccardo Battocchio, che ha voluto ricordarci il valore della con-vocazione, del sentirci chiamati insieme a vivere questo nuovo anno. È stata l’occasione per dare il benvenuto e accogliere i nuovi alunni, 13 giovani provenienti da diverse diocesi italiane e del mondo. Già prima, però, chi ha incarichi di servizio per la comunità, ha anticipato la ripresa: Tommaso è stato al lavoro per la redazione del ricco programma culturale annuale, mentre Davide ha seguito gli iter di iscrizione alle Università dei nuovi alunni.

Dopo i consueti spostamenti di camera, tra uno scatolone e l’altro da svuotare, la domenica sera la comunità si è ritrovata per una breve incontro informativo circa gli esercizi e la vita comunitaria. La mattina seguente, lunedì 25, siamo partiti per vivere gli esercizi spirituali nella foresteria del Monastero di Camaldoli, luogo benedettino immerso nel paesaggio naturale. A guidare gli esercizi è stato padre Matteo Ferrari, monaco camaldolese, che ci ha accompagnato per cinque giorni con il brano di Matteo 13, il discorso in parabole con Gesù, soffermandosi in particolare sulla parabola dei semi gettati nei quattro solchi. Ad aiutare ad entrare in un clima di preghiera è stata la comunità benedettina stessa, che ci ha introdotto alla salmodia monastica, con dei ritmi tipicamente più lenti così da dar spazio per meditare la Parola.

Terminati gli esercizi, siamo tornati in quel di Roma, dove ad attenderci ci sono stati l’inizio delle lezioni e del nuovo anno accademico. Gli studenti della Gregoriana (Davide e Tommaso) sono tornati sui banchi il 4 ottobre, mentre chi studia in altre facoltà (Claudio) ha incominciato un po’ prima.

Due eventi, partecipati dagli alunni, hanno coronato l’inizio dell’anno accademico: la Messa di inaugurazione della Gregoriana e l’apertura della I sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi. E proprio questo «momento di sinodalità» sarà lo sfondo del nostro primo mese: la presenza in Collegio di Mons. Roberto Repole, Arcivescovo di Torino, e don Severino Dianich, entrambi partecipanti al Sinodo, oltre che del Rettore, Segretario speciale, accompagnerà con slancio sinodale la ripresa dell’avventura romana dei Capranicensi cagliaritani.

Claudio Pireddu
In collaborazione con Davide Ambu

(Fotografie da: Almo Collegio Capranica, Tony Kocherry)

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Davide Ambu istituito accolito

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Davide Ambu istituito accolito 

«Fa’ che, assidui nel servizio dell’altare, distribuiscano fedelmente il pane della vita ai loro fratelli»: queste sono state le parole della liturgia che S.E.R. Card. Louis Antonio Tagle, domenica 19 marzo [2023], ha rivolto a me e a due miei compagni.

Durante la liturgia, celebrata nella Cappella dell’Almo Collegio Capranica, dal tono sobrio e ma lietamente familiare, sono stato istituito accolito, insieme a due miei compagni di cammino, Giacomo Gliottone (Diocesi di Teano-Calvi) e Claudio Ottonello (Arcidiocesi di Sassari). La preparazione al ministero, accompagnata dai formatori, è stata incentrata sulla figura dell’accolito quale ministro legato all’Eucarestia e alla testimonianza espressa dalla simbologia della luce (come emerge dalla monizione del rito De ordinatione acolythorum del Pontificale Romanum di Trento: «Non enim Deo placére potéritis, si lucem Deo mánibus præferéntes, opéribus tenebrárum inserviátis, et per hoc áliis exémpla perfídiæ præbeátis»). E proprio sulla luce era incentrata la liturgia del giorno della mia istituzione, IV domenica di Quaresima/A: l’invito paolino di essere luce nel Signore (Ef 5,8) può realizzarsi vivendo il proprio battesimo (prefazio), fondamento di ogni ministero, se si guarda con lo sguardo del cieco guarito da colui che è luce del mondo (Gv 9).

Nella preparazione prossima, mi sono soffermato sul significato dell’accolitato, partendo proprio dalla parola “accolito”. Fin da subito l’origine del termine mi ha dato una linea di lettura del ministero: il termine “accolito” è la traduzione italiana del latino acòlythus, a sua volta traslitterazione del greco ἀκόλουθος, della stessa radice del verbo ἀκολουθέω, che significa “seguire”. La traduzione latina letterale sarebbe sequens: è proprio il termine usato da papa Caio († 296) e che ricorre nel Liber Pontificalis attribuito a papa Vittore (189-199) («Hic fecit sequentes»). L’accolito dunque è un “sequens”, in inglese si direbbe un “follower” di Cristo; questa parola d’oltre Manica mi ha riportato subito all’episodio della chiamata di Matteo, ben reso nella serie tv The Chosen: Gesù sceglie Levi dicendo «ἀκολούθει μοι», «seguimi», «follow me» (così riportano tutti e tre i sinottici: Mt 9,9; Mc 2,14; Lc 5,27). Questo mi ha reso ulteriormente consapevole che il ministero ricevuto è una tappa (non un gradino) del cammino di sequela, che si configura con una “vicinanza” maggiore al Maestro: nell’Eucarestia e nella Chiesa, nello specifico verso i più deboli e poveri.

E proprio su questa “vicinanza” ha ruotato poi la mia preparazione imminente. Due settimane prima dell’istituzione, un pesante lutto ha colpito Giacomo, un mio compagno di classe e di ministero; la vita, dal corso non sempre prevedibile, talvolta mette di fronte a eventi drammatici che non possono non toccare il cuore dell’uomo: il dolore forte di un amico che piange suo fratello non può lasciare indifferenti, se è vero che siamo corpo mistico di Cristo (dove il dolore di un membro è il dolore di tutti). Così, in queste circostanze dove le tenebre sembrerebbero prevalere, mi sono tornate in mente alcune parole di P. Giovanni Maria Rossi: «l’amore dona la più umile consolazione a gente che è distrutta dall’angoscia e dal dolore».

Da allora ho vissuto la preparazione e sto iniziando a vivere il ministero dell’accolitato come “ministero di prossimità”: lo stare accanto a chi soffre, provando a portare un po’ della luce del Signore. Perché, se è vero che l’opera dell’accolito non si limita all’ambito esclusivamente rituale (portare i ceri, distribuzione dell’Eucarestia) – come si afferma nei praenotanda al Rito di Istituzione dei ministeri – e se è vero che dovrebbe amare il Corpo mistico di Cristo, specialmente i deboli, i poveri e i malati – come ricordano la monizione del rito e Ministeria quaedam – allora l’accolito dovrà essere ministro di prossimità (il documento della Cei I ministeri nella Chiesa parla di «ministero dell’Eucarestia e della carità»). Nei giorni precedenti all’istituzione mi sono interrogato parecchio sul servizio ai deboli, ai poveri e ai malati e su come lo stessi vivendo; in questo sono aiutato da alcuni spunti fornitimi da P. Pietro Bovati alla lectio divina quaresimale, che ha sottolineato come il servizio non è impegno ma dono (non si sceglie, si riceve) ed è più ampio di quello verso la povertà materiale; così mi sono accorto che stavo scegliendo le povertà da servire: i poveri della mensa del compianto don Pietro Sigurani presso cui avrei voluto fare servizio in quaresima, gli ammalati dell’ospedale Cottolengo di Torino, dove dovrei andare quest’estate. Ma forse c’erano altre povertà, infermità e debolezze che il Signore voleva donarmi, più vicine del Caravita o di Torino. E allora, se l’accolito riceve il servizio come un dono, non può non imitare il buon samaritano che si curva su tutte le ferite e le sofferenze umane, comprese quelle che vivono a poche porte di distanza da quella di camera mia.

Davide Ambu

 

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